Il pesco di Don Alfonso

Il pesco di Don Alfonso

di Antonio Rungi

Nel giardino della canonica della chiesa in cui era parroco da oltre 50 anni, era rimasto, dopo la ristrutturazione della chiesa ed opere parrocchiale, solo un albero di pesco. Don Alfonso ci teneva tanto a quell’unico alberello che era rimasto del più e ricco giardino che c’era prima. Ci teneva perché ogni anno uscivano poche, ma saporite pesche che distribuiva alla povera gente. Era il pesco della carità come lo definiva e guai se qualcuno, anche di chi frequentava la parrocchia toccasse anche un solo frutto di quell’albero. Durante l’anno lo coltiva con passione e con cura, perché desse ogni anni frutti più abbondanti. Era una cerimonia, quasi un rito sacro quando uscivano le primizie e a quel punto incomincia a raccoglierne per portarle alle madri della parrocchia in attesa di un bambino. A loro andavano le primizie. A man mano che maturavano li distribuiva secondo un preciso ordine cronologico dei suoi parrocchiani: i bambini, i ragazzi, i giovani, gli adulti e gli anziani. Ma una parte dell’albero in cui maturavano frutti più abbondanti era riservata ai suoi ammalati. E ce n’erano tanti nella sua comunità, dove la maggior parte dei componenti era avanti negli anni. Ogni volta che vedeva spuntare anche una sola pesca più matura la prendeva e la portava subito, in giornata, ai vari vecchietti curati nelle case. Era un modo anche per fare visita a quanti soffrivano nel corpo e nello spirito. In paese conoscevano tutti il pesco di Don Alfonso e soprattutto le pesche di Don Alfonso che era saporite, colte mature e non acerbe dall’albero, né messe in frigorifero. Detto in gergo popolare, era colte e mangiate con tutto il sapore della frutta fresca e senza trattamenti di sorta. La felicità di Don Alfonso era immensa quando poteva dare qualcosa agli altri, che a loro volta neon gli facevano mancare nulla. Era la sua carità visibile e non solo con le pesche, ma anche di ogni altro tipo di aiuto che poteva dare, a farne un sacerdote oltre che spiritualmente vicino al Signore, particolarmente vicino ai poveri ed ai sofferenti. Il Vangelo della carità, per lui, veniva prima di ogni azione liturgica. Anzi le due cose coincidevano perfettamente e quindi privilegiava la carità perché con essa celebrare le lodi perenni al Dio creatore e salvatore.
Quell’anno, don Alfonso, si ammalò di una male incurabile e per giunta era finito anche il suo ministero pastorale in parrocchia, avendo raggiunta l’età canonica dei 75 anni e come tale doveva lasciare l’attività pastorale all’inizio del nuovo anno pastorale. Era di aprile quando fu ricoverato in ospedale per accertamenti, per poi sapere della impietosa sentenza, e quando uscì dalla canonica, osservando il pesco fiorito, una cosa sola raccomandò al direttore del consiglio pastorale che lo accompagnava all’ospedale: “Mi raccomando di portare le pesche alle persone che tu sai, appena matureranno. Continua tu l’opera della carità che ho iniziato. Sono certo che il nuovo parroco farà altrettanto”. Don Alfonso non tornò vivo dall’ospedale. Intanto il pesco fiorito incominciò a dare i suoi frutti che venivano distribuiti secondo il calendario di don Alfonso. Ai funerali tenuti nella sua comunità parrocchiale dove aveva “portato avanti con le sue pesche” intere generazioni di fedeli, molti dei quali ormai nonni, sulla bara chiusa, oltre la stola e la sacra scrittura, un bellissimo ramo di pesco con una sola pesca aggrappata al ramo. Una pesca matura, bella. Era la pesca di don Alfonso, l’ultima che lui ogni anno conservava per sé alla fine del raccolto per sapere di che sapore erano le pesche dopo che tutti i suoi parrocchiani le avevano mangiate diverse volte. Era il segno evidente che don Alfonso era maturo per il regno dei cieli. Gesù, Sommo ed eterno sacerdote lo aveva portato con sé per sempre nel giardino del paradiso di Dio.

Il pesco di Don Alfonsoultima modifica: 2013-04-04T09:08:00+02:00da pace2005
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